sabato 15 dicembre 2012

Intervista: Cascina Agrinova, Susa



Si parte il giorno dopo che aveva nevicato, dopo che ogni cosa era stata normalizzata, resa identica a tutto.
Sulla strada per Susa rimango spesso in silenzio, l'inverno non ha bisogno di commento, non lo richiede perchè l'unica cosa che vuole è sentire ciò che tu, nella tua mente, devi dirti.
Hai bisogno non di domandarti ma di riavvolgere il nastro.
Con questo pensiero rivedo molte strade, tante facce incontrate in Valle di Susa in questi anni, alcune sempre note, altre che si affacciano ed alle volte hanno un sorriso giovane e deciso, lo stesso che mi ha spronato a saltare in macchina e percorrere la strada verso il fondo della vallata, oltre la Sacra di San Michele.
Vado verso l'Agrinova, un'azienda agricola di prodotti del territorio ma più che altro mi reco verso un possibile futuro, ancora oggi da esplorare ma che si appresta a venire alla luce.
Passo case, persone intabarrate, scritte No Tav, motti piemontesi che parlano non di vittoria ma dello sforzo e della fatica che ci si aspetta per farcela.
Nel mezzo qualche camionetta della polizia, un paio di ristoranti e trattorie storiche e poi la sede dell'azienda.
Ho percorso le stradine della Valle, bisogna farlo altrimenti quello che vedi è solo una scia d'asfalto che ti porta oltre confine.
Non ha senso per chi vuole osservare le cittadine, perdendo anche del tempo fermandosi a fare due chiacchiere con persone mai viste prima.
Davanti al portone mi fermo ad osservare le piante e i campi imbiancati.
Francesca, la titolare insieme a Luca, mi apre, insieme al suo cane e più distante il suo gatto che mi guarda dubbioso.
Dopo qualche chiacchierata ci sediamo a parlare, fuori, sulla panchina, si sente bene l'inverno, si percepisce bene quel bellissimo freddo che ti depura i bronchi.
Al suo primo sorriso capisco bene due cose, è una persona soddisfatta del suo lavoro e non lo cambierebbe per nulla al mondo e poi che queste cose in città non le vedi quasi più.
Gli chiedo perchè aprire un azienda in un momento simile (domanda un po' stupida, anche io ci sono cascato di recente!) e lei mi parla di valori, di necessità di tornare alla terra, di rispetto per ciò che ci circonda.
Niente di aziendale.
Non usano prodotti chimici, vendono ortaggi, vino, piccoli frutti, miele, vivono non solo di ciò che vendono ma soprattutto vivono di ciò che producono, per qualcuno un concetto medievale ma per altri e soprattutto per me un dato benedetto, giusto.
Luca veniva da agraria, Francesca da scienze forestali, alcuni lavori alle spalle ma poi la necessità di trovare la strada della natura, del prodotto creato, coltivato e vissuto sul terreno, sporcarsi le mani per dare un senso a quello che si è.
Il gatto ci guarda interdetti e nel mentre scappa in casa, al caldo.
Zero finanziamenti chiesti, tanto lavoro ed apprezzo di Francesca la normalità con cui parla di se stessa, dei suoi due anni d'imprenditoria, parola oggi quasi dannata, ma che qui, a Susa ha un sapore diverso.
Molti amici hanno dato una mano ed hanno creduto nel progetto.
Nascono qui confetture di frutta, dove c'è davvero la frutta, cosa incredibile per i tempi che vedono protagonisti barattoli da supermercato con gusti al limite dell'ufologia!
Poi c'è il vino della Valle, prodotto con vero sforzo visto le pendenze del territorio, infine il miele sempre gradito e i piccoli frutti.
Patate e ortaggi non mancano mai all'Agrinova.
Su tutto mi viene però da chiedere della Tav, spauracchio della Valle, quasi un mostro delle leggende per bambini, lui che scende da lassù e divora tutto.
Anche Francesca ammette che è un bel problema e noto che per la prima volta da quando sono li mi sorride di meno e guarda di più a terra.
Mi dice che se dovesse vedere che i suoi prodotti non sono più come prima lei mollerebbe e forse se ne andrebbe anche dalla Valle, che tanto ama.
Ma per ora non voglio insistere, mi sembra anche ingiusto mettere il dito nella piaga.
“Da piccola cosa volevi fare?”, “Volevo salvare il mondo”, mi risponde ridendo, ed io le credo, lo voleva e lo vuole fare anche adesso.
Non ha perso il principio e lo si capisce bene dal suo progetto, continuare a recuperare pezzi di terreno, pezzi di vita contadina che fanno bene a chi produce e a chi usufruisce della fatica del coltivatore.
Mentre mi appresto ad uscire, passando sulla neve che comincia un po' a sciogliersi mi viene in mente che ero venuto fin qui per cercare un idea di futuro.
Ho trovato anche una traccia per il presente.


Consigliato perchè?

Per i prodotti ma questo è scontato, più che altro per le persone e per i metodi sani che adoperano, una garanzia di qualità e di genuinità dei prodotti.


Cascina Agrinova
via Meana 40, Susa (To)
tel: 3923503493
tel: 0122649958


martedì 4 dicembre 2012

Vigna per Vigna, i Prever di Villarbasse




Qualche anno fa, aggirandomi per la Valle di Susa mi parlarono dell'azienda vitivinicola Prever, non molto distante dalla città di Rivoli, Villarbasse è la loro casa.

Da quel giorno i loro vini mi sono sempre stati famigliari e di recente la creazione della nuova cantina (che vale già da sola un viaggio d'interesse) ha riacceso i rapporti anche con i nuovi consumatori che ancora non conoscevano questo tipo di vino.

Cosa non riporta la vecchia intervista?

Per primo, come già accennato, l'azienda si è allargata e migliorata, grazie ai nuovi spazi ed inoltre vi è la presenza del vino "Nebbie Autunnali", che personalmente ho trovato non solo corposo ma presente come aromi in bocca, interessante anche a lungo termine.

Dalle parole della titolare, Giulia Chiarle, troviamo sul sito questa breve annotazione del 6 novembre 2012



La vendemmia 2012 è andata bene, anche se sarebbe più giusto parlare di vendemmie: in cantina abbiamo lavorato parecchio, avendo da seguire ben 10 lotti diversi di vino, tra cui un bianco, un rosé e 8 ben rossi! 
Ci piace infatti ascoltare Vigna per Vigna, cosa la terra può dirci…. Comunque, dopo aver vinificato separatamente i singoli appezzamenti, tenendo sempre da parte i migliori CRU, intendendo vigneti, e assembleremo i rimanenti in vini in modo armonico. E se qualcuno non se lo merita... non vedrà la bottiglia!
Il lavoro in cantina è molto impegnativo, e tra travasi, decantazioni a freddo e filtrazioni, ci vorranno almeno 6 mesi dalla vendemmia per gustare il nuovo vino; inoltre, solo per i rossi migliori e idonei, è previsto un ulteriore affinamento in piccole botti.
Ad aprile 2013, potremmo avere una prima idea del risultato della vendemmia 2012, ma solo gli anni successivi mostreranno il vero carattere dei nostri Rossi.
Per ora, il rosso Nebbie autunnali 2009 riscuote sempre grandi consensi, seguito dalle Nebbie 2011 (il 2010 non è stato imbottigliato perché non ci sembrava all’altezza), ma il San Quirico è anch’esso  molto richiesto, pur essendo un vino più leggero e con spiccato carattere. Bianco e Rosè per ora sono ancora disponibili, ma siamo alle ultime bottiglie.



Al fondo troverete i soliti dati sul posto che però se non ci andate non servono a niente!

L'intervista è la seguente, anno 2010...




Come è nata la vostra azienda?  

L’azienda è nata nel 1949 quando mio nonno, l’ing. Giuseppe Prever, di origini giavenesi, comprò una cascina nel dopoguerra, qui tra le vigne. Appassionato di agricoltura, adottò tecniche decisamente innovative, anzi all’avanguardia, anche grazie anche al fatto che era un uomo che studiava e viaggiava molto. La cantina, ad esempio, fu ampliata in modo tale da poter calare il mosto nei tini direttamente dalla pigiatrice. Il mosto scorreva passando tramite “bocche di lupo” esterne alla cantina stessa, sfruttando la forza di gravità, cosa inusuale a quei tempi, ma di gran moda oggi, specialmente nelle grandi cantine.
Qui a Villarbasse impiantò, negli anni cinquanta,  una vigna di uva bianca, unica nel circondario. Non sappiamo di che vitigno si tratti, nessuno ha saputo svelarne il mistero, ma il vino che ne deriva, anche se non senza fatica, è un prodotto davvero eccellente, con profumi particolari ed uno spiccato carattere, al quale non si può restare indifferenti.
Ovviamente l’attività dell’azienda comprendeva anche  la produzione di ortaggi, frutta, cereali, latte, formaggi e allevamento di bestiame ma, dopo che gli ultimi bravi contadini che  il nonno stipendiava sono andati in pensione, la produzione si è ridimensionata per l’autoconsumo e i prati sono stati dati in gestione a terzi.
Nel 2004 ci siamo trovati davanti ad un bivio per ciò che riguardava vino e vigne: abbandonare anche questo settore, ed estirpare le ultime due vigne, oppure ricominciare e riprendere “in grande” la produzione?
Abbiamo deciso di fare un salto di qualità, curando il vino in modo più professionale, con la consulenza di un quotato enologo, Maurizio Forgia, e di un bravo agronomo, puntando a  creare vini di buon livello, che potessero essere proposti agli “scopritori del territorio” e agli amanti del vino sempre più esigenti e preparati.
L’obiettivo da sempre è stato quello di produrre un vino di carattere, piuttosto rinunciando a grandi volumi, ma cercando qualcosa di veramente speciale.
Abbiamo iniziato con una nostra vecchia vigna di uve nere, che non richiedeva troppe attenzioni per via della qualità e della costanza della produzione. Successivamente abbiamo continuato con vigne prese da piccoli produttori locali, alcune ben curate, altre da  rimettere a posto da cima a fondo.
Oggi ne abbiamo dodici in gestione e sono grata a chi me le concede. In molti casi si tratta di anziani che hanno dovuto a malincuore lasciarne la conduzione per problemi di età. Sono contenta di poter contribuire a conservare il patrimonio paesaggistico e culturale di una zona dove un tempo la viticoltura era molto diffusa, grazie al terreno adatto di molti pendii collinari nella giusta esposizione,
Ovviamente per me la produzione del vino è anche diventata una grandissima passione. Abbiamo una conduzione famigliare e curiamo molto la qualità dell’uva, che è la vera carta per una produzione di livello.
Abbiamo aumentato lentamente la produzione e abbiamo il riscontro di clienti affezionati, che tornano a trovarci e sperimentano le novità. Per novità intendo i vini prodotti dalle vigne di nuova acquisizione o piccole partite di vini prodotti per testare nuove metodologie di lavorazione, sempre nel rispetto dell’assoluta genuinità.
Vendiamo parecchio pure tramite i negozi e, dato che questo prodotto rappresenta una cartolina del territorio, curiamo particolarmente anche la confezione. La raccolta di etichette si arricchisce di anno in anno, con il contributo di noti pittori contemporanei.
Adesso stiamo costruendo la nuova cantina, con l’obiettivo di arrivare a 20.000 bottiglie  (ora ne facciamo 5-6.000).
Ad oggi, oltre al nero con cui abbiamo iniziato, abbiamo un bianco e un rosato, ottenuto da una vecchia vigna che ha richiesto tre anni di tentativi e che alla fine ha prodotto un risultato eccezionale che ha riscosso molto successo commerciale, soprattutto tra i giovani, che nel rosato vedono un vino leggero e senza tannini. In effetti è un vino facile da bere ma certo non facile da produrre perché richiede assidue cure e un lavoro enorme.
Il rosato infatti prevede procedimenti diversi rispetto al bianco e spreca moltissimo prodotto, con una resa solo del 50%; senza contare il fatto che, per conservare la ricchezza e la freschezza del profumo, torchiamo a mano!
Spesso si inizia al mattino e si finisce alla sera, il lavoro è pazzesco, ma il prodotto è ottimo e i profumi sono eccezionali.

E quindi che vini fate ora?

Dipende dalle annate; abbiamo il Nero di Basse, il rosso di punta che esauriamo più velocemente. E’  un prodotto corposo e profondo, con una prevalenza di Chatus, che facciamo invecchiare passandolo in acciaio e in barrique. E’ un prodotto di buona gradazione alcolica e particolarmente tannico, che guadagna con l’invecchiamento.
Poi abbiamo il Bianco che ho citato prima, proveniente da una vecchia vigna di buon livello. Cerchiamo sempre di non farlo salire troppo di gradazione, perché secondo noi i bianchi e i rosati vanno tenuti su gradazioni basse per essere leggeri e rinfrescanti.
Infine ci sono il Rosè , di cui abbiamo già parlato, che ha una prevalenza di Bonarda e Freisa, e il Rosso San Quirico, un vino da tavola, con gradazioni adeguate.  

Quanti ettari avete al momento e dove si trovano le vigne?

 Le vigne sono tutte sulla collina morenica di  Villarbasse,  per un totale di circa tre ettari.

Ed avete un mercato locale?

Per ora il nostro mercato è prevalentemente locale, con vendite sporadiche oltre il nostro territorio... Villarbasse, Val Sangone, Torino. La nostra produzione si sposa molto bene con i formaggi, in particolare con quelli della nostra zona: per esempio, il Cevrin di Coazze si abbina alla perfezione con i nostri rossi.

La Val Sangone non ha il marchio DOC, nonostante voi siate citati nella Strada Reale dei Vini Torinesi e rappresentiate una realtà della Valle di Susa

E’ vero, per adesso la DOC di questa specifica zona  non c’è ancora, ma da quest’anno spero saremo iscritti alla DOC Rosso Piemonte. Per quanto  non specifica della zona, siamo contenti di questa che per noi è una conquista. Sappiamo però che il riconoscimento ufficiale non è tutto. Infatti ci sono DOC qualitativamente molto differenti e bisogna sempre puntare sulla qualità del prodotto. Il nostro vero obiettivo è il piacere di chi beve i nostri vini classici e apprezza i nostri nuovi prodotti.

Voi riuscite ad avere una certa visibilità al di fuori di Villarbasse?

Abbiamo un sito Internet che viene aggiornato continuamente e frequentemente visitato.
Siamo presenti agli eventi del territorio e organizziamo noi stessi  manifestazioni che servono per far conoscere le vigne e le nostre realtà, come per esempio il programma “Acqua e Vino” in collaborazione con la Smat di Sangano, un connubio che ci ha portato circa 600 persone.
Siamo stati contattati nel 2011 dal Teatro Regio di Torino per un aperitivo abbinato al concerto, non so come ci abbiano trovati, però vuol dire che un minimo di visibilità c’è.
L’ambiente ci aiuta molto perchè offre servizi differenti e poi siamo vicini a Rivoli, dunque formiamo un circuito interessante.

E a Villarbasse lavorate per lo più manualmente?

Sì, data la tipologia dei terreni  e per una scelta di qualità, il lavoro è tutto a mano o, per meglio dire, “a spalla”. Dove è possibile usiamo il trattore, ma solo  per portare l’atomizzatore.

Perché fare il vino?

Innanzitutto perché è una tradizione di famiglia, che porto avanti volentieri, e poi perché mi piace la campagna e anche il vino. Inoltre, questa è secondo me proprio una terra da vini, per esposizione e tipologia del terreno. Molte vigne sono state abbandonate non perché non dessero uva di qualità, ma per l’impegno che tenere una vigna richiede.
Infine, il vino è un prodotto classico, che dura nel tempo.

Progetti futuri?

Speriamo di completare a tempo di record la costruzione della nuova cantina. Aumenteremo la produzione  sia nella quantità di bottiglie sia nella varietà di proposte. Inoltre intendiamo ampliare la gamma di prodotti che usano il nostro vino come ingrediente specifico.
Già commercializziamo, col nostro marchio unito a quello dei nostri amici artigiani, pasta al vino, zabaione, gelato e anche le caramelle al gusto vino. Infine ci ha trovati un famoso cioccolataio rivolese, Gianni di Biase,  per creare dei capolavori di pasticceria e di prelibatezza varie, i cioccolatini ripieni di crema al vino... una meraviglia!



Vitivinicola Prever di Giulia Chiarle
via Paraccia 11, 10090 Villarbasse
Tel. 3477429322
email: vino@prever.it
www.prever.it



Saluti a tutti e statemi bene
Alessio 

domenica 2 dicembre 2012

I grissini stirati di Lanzo Torinese



In Piemonte i grissini sono una piccola costante, quasi una necessità gastronomica, da sgranocchiare, da pasto durante un normale giorno, piccola soddisfazione tra un pranzo ed una cena.

La storia vuole che siano stati inventati alla fine del seicento dal fornaio di corte Andrea Brunero, sotto il controllo e le spiegazioni di Teobaldo Pecchio, il quale cercava di alimentare in modo alternativo Vittorio Amedeo II, non proprio avvezzo al pane e che comunque mal digeriva.

Una tradizione non si perde mai ed oggi non solo i rubatà, termine piemontese per indicare i grissini, sono noti a tutti e non solo nel territorio d'origine ma anche in tutto il mondo.

Di Teobaldo Pecchio si ricorda ancora qualcuno?

Si e no,in Italia non si sa  ma a Lanzo torinese una targa lo mantiene nelle coscienze e nella memoria del paese ma non basta, per chi conosce il territorio lanzese sa anche molto bene come qualcos'altro è rimasto della tradizione di fine seicento.

Infatti tutti i fornai della cittadina e anche della realtà limitrofe, producono da sempre il grissino stirato, una varietà che misura meno di 1 cm e che vengono confezionati  con farina di grano tenero tipo "00", acqua, sale, lievito e malto.

Proprio in questi giorni un'amica di famiglia ha portato a casa mia questo prodotto che dopo breve ricerca ho potuto apprezzare maggiormente sul portale della città di Lanzo, dove svettano anche i vari produttori di questa particolarità.

Nella terra di Teobaldo però ci sono anche altri prodotti che sono contrassegnati dal marchio De.C.O. (Denominazione comunale di origine), sigla che come spiega bene il portale risale a Luigi Veronelli.

Ovviamente bisogna usare il navigatore o la cartina per trovare la cittadina ma è sempre straordinario scoprire come in piccolo comune come questo vi siano un numero così consistente di particolarità e come un certo Teobaldo Pecchio abbia ideato un prodotto di cui noi piemontesi andiamo molto fieri (e golosi!).

Posso testimoniare inoltre che la promessa riportata sul sito del comune di Lanzo, vale a dire la lunga durata alimentare dei grissini di Lanzo, sia del tutto vera (una settimana e non sentirla insomma).

Ogni fornaio di Lanzo è un discendente di una lunga tradizione, nonchè  figlio di una particolarità territoriale che esalta ogni singolo elemento del territorio, ed è sempre un piacere passare per una delle panetterie lanzesi  e scambiare due chiacchiere, scoprire segreti, condividere sensazioni.

Sempre ovviamente con il grissino in mano!


Saluti a tutti e statemi bene
Alessio

sabato 1 dicembre 2012

La melina di Giaveno, parte 2




Questa è l'immagine che avevo promesso.

Io come detto la chiamo melina di Giaveno ma logicamente avrà un termine maggiormente specifico.


Un saluto a tutti e buon fine settimana
Alessio

giovedì 29 novembre 2012

Segnalazione lampo: Cascina Agrinova, Susa (To)


Agrinova





Appena conosciuti, notati ad una classica fiera di fine anno, a poco più di un mese da Natale.

Loro sono nati da non molto ma come dice il loro sito hanno una lunga esperienza nel ramo.

Io personalmente ho preso un paio di confetture di kiwi, che presto assaggerò.

Nel frattempo farò un giro sul sito, a breve vedremo come informarci meglio su di loro.



Via Meana 40, 10059 - Susa (TO)
Telefono:+39 392 3503493
Telefono/Fax:+39 0122 649958
E-mail: info@cascinagrinova.it

 http://www.cascinagrinova.it


Saluti a tutti e statemi bene
Alessio

La melina di Giaveno



100 varietà in Italia, 7000 nel mondo.

Questo è il numero di varietà di mele presenti nel nostro paese e nel resto del pianeta ed ovviamente il calcolo è particolarmente approssimativo.

Non si fa fatica dunque a capire perchè ogni paesino italico rivendichi la sua varietà di mele particolarmente pregiata e di gusto raffinato.

Ognuno di noi inoltre ama, apprezza solo una piccolissima fetta di questo sterminato panorama.

Capita quindi di imbattersi anche in alcune rarità in posti praticamente sconosciuti .

Passando per il mercato di Giaveno, in provincia di Torino vi potrebbe capitare di fermarvi a qualche banco che tratta ortofrutta, ve ne sono tanti e cambiano spesso posizione.

Se siete fortunati  potreste notare delle mele, che io chiamo menile, molto piccole, figlie dell'autunno insomma, che di solito hanno un colorito abbastanza regolare, un verdino giallo che in breve tempo si trasformerà in un bel rosso acceso.

Sono delle rarità, dotate di una carica dolce al'interno notevole, dovuta appunto alla concentrazione della polpa.

Non rimangono per lungo tempo su piazza e sono spesso rintracciabili da piccole realtà a conduzione famigliare, quelle che in fondo a noi cacciatori enogastronomici piacciono moltissimo.

Ora, dare indicazioni è praticamente inutile, i banchi come detto sono nomadi e di solito queste cose si rintracciano dopo una ricerca.

Posterò un immagine della rarità.

Almeno per la caccia!


Un saluto a tutti e statemi bene
Alessio

sabato 17 novembre 2012

"Ode al Carciofo" Pablo Neruda


A novembre mi torna sempre in mente questa poesia di Pablo Neruda.
La terrò in mente anche in questo fine settimana.



Il carciofo dal tenero cuore si vestì da guerriero,
ispida edificò una piccola cupola,
si mantenne all'asciutto sotto le sue squame,
vicino al lui i vegetali impazziti si arricciarono,
divennero viticci,
infiorescenze commoventi rizomi;
sotterranea dormì la carota dai baffi rossi,
la vigna inaridì i suoi rami dai quali sale il vino,
la verza si mise a provar gonne,
l'origano a profumare il mondo,
e il dolce carciofo lì nell'orto vestito da guerriero,
brunito come bomba a mano,
orgoglioso,
e un bel giorno,
a ranghi serrati,
in grandi canestri di vimini,
marciò verso il mercato a realizzare il suo sogno:
la milizia.
Nei filari mai fu così marziale come al mercato,
gli uomini in mezzo ai legumi coi bianchi spolverini erano i generali dei carciofi,
file compatte,
voci di comando e la detonazione di una cassetta che cade,
ma allora arriva Maria col suo paniere,
sceglie un carciofo,
non lo teme,
lo esamina,
l'osserva contro luce come se fosse un uovo,
lo compra,
lo confonde nella sua borsa con un paio di scarpe,
con un cavolo e una bottiglia di aceto finché,
entrando in cucina,
lo tuffa nella pentola.
Così finisce in pace la carriera del vegetale armato che si chiama carciofo,
poi squama per squama spogliamo la delizia e mangiamo la pacifica pasta
del suo cuore verde.


giovedì 15 novembre 2012

Un eterno senso di serenità e benessere, il Giappone in Italia




I piattini sono disposti in ordine perfetto, vari colori, cromie che spesso diventano delle composizioni floreali, motivetti della cultura orientale, tutto trasuda di una innata tranquillità, la luce naturale che attraversa la finestra tocca appena le portate.

La prima visione mi fa comprendere come la cucina giapponese abbia da sempre ma in modo particolare nel contemporaneo, colpito la fantasia di molti cuochi nostrani ed abbia innalzato il sushi a elemento indispensabile in ogni telefilm alla moda americano.

In effetti ogni elemento è fortemente cool (all'italiana fresco, ma rende meno, più che altro alla moda) e inoltre la base di riso e pesce presente in molte portate non fa che comprovare la credenza che i giapponesi possiedano una cucina leggera ma soprattutto naturale.

Prima la vista e poi il palato, una regola questa che ci avvicina immancabilmente ad una tradizione orientale che consente all'occhio di sfamare non solo la curiosità ma anche lo stomaco.

A Torino vi sono svariate realtà che trattano gastronomia giapponese, una di queste è sicuramente il celebre ristorante "Daiichi", con doppia sede.

Terminal di svariati uomini d'affari e in pausa lavorativa, la cucina giapponese non solo sfama ma fa risparmiare tempo (un altro elemento cool, molto cool!).

Si può quindi dopo un veloce antipastino buttarsi su un elenco davvero interminabile di portate superato solamente dalla pessima figura che molti italiani fanno nel tentativo di usare le celebri bacchette (sottoscritto compreso).

Dopo essermi fatto portare le forchette (italiano medio power!) mi accosto al Pad Thai, in sostanza tagliatelle di riso saltate con gamberi, uova, verdure, tofu e arachidi.

L'agglomerato a prima vista appare compatto ma si scardina discretamente bene, le tagliatelle sono leggere, cotte senza sfociare nel colloso, i gamberi si prestano a varie interpretazioni, aperti in modo da sembrare più grandi sono si surgelati (vi è scritto anche nel menù quindi niente battute del genere, "senti la freschezza, appena pescato") ma non urtano, si amalgamano in modo discreto.

Apprezzo inoltre le arachidi, come sempre d'altronde.

Se non mi lascio prendere dal secondo per mancanza di tempo non è lo stesso per il dolce, una Crème Brulèe al gusto di pistacchio e tè verde (equilibrato, magari un pò troppo poco sapore nel pistacchio) ed un sorbetto al limone. Il classico che non muore mai!

Dopo qualche chiacchierata informale con i camerieri ci si dilegua, con un conto che come è tipico dei ristoranti giapponesi è sicuramente sopra la media ma si conta sempre le specialità e i vari pesci come elemento di scusa.

Leggerezza, eleganza e salute, tradizione si ma con la capacità di essere all'avanguardia grazie alla tecnologia, al segno grafico dei piattini e delle portate e al logo, manghiano al punto giusto.




Ristorante giapponese "Daiichi"
via IV marzo 5
10121 Torino
011 4368472
Chiuso la domenica e il sabato a pranzo


Saluti a tutti e statemi bene
Alessio

NOTA BENE: questa recensione è anche su 2spaghi

martedì 13 novembre 2012




Di mattina non ho mai molta fame, fin da piccolissimo la faccenda ha sempre funzionato così.

Le domeniche mi alzavo dal letto, piano piano mi avvicinavo al tavolo, mia madre era spesso impegnata a riassettare, la casa odorava già di qualche cibo particolare, in mente mi viene sempre la minestra ma spesso erano dei secondi abbastanza elaborati e lunghi da cuocere.

Arrivato nei pressi della cucina aprivo la porta scorrevole, il vapore mi investiva lasciandomi contento, sapevo già che cosa avrei mangiato dopo, bastavano pochi secondi e il mio database trovava la risposta.

Vedevo che sul ripiano vi erano molte verdure, la scodella con dentro i biscotti, il tazzone del the che si era raffreddato.

Sfilavo a fianco delle sedie, senza farmi sentire.

Mia madre poteva essere ovunque.

Aprivo leggermente la porta che dava sull'esterno, sul balcone, la scena ora che sono abbastanza grandicello mi appare sempre d'inverno, spesso d'autunno, con l'umido che regalava delle fantastiche sensazioni di muschio.

Mi avvicinavo ad un piccolo cestino posto su un ripiano, li c'erano un gran numero di pomodori, di ogni grandezza, di ogni genere, di ogni odore.

La passione pare che l'abbia ereditata da mio nonno, anche lui non poteva fare a meno di mangiarsi un pomodoro al giorno, anche se fuori stagione.

Un peccato sicuramente, ma tant'è.

Prendevo il mio premio e scappavo, contento di aver scovato il cestino buono,a gran velocità ripercorrevo la cucina, il salotto e mi buttavo nel letto e li me lo gustavo, il mio pomodoro!

Era una grande soddisfazione, la colazione!

Fino a quando sbucava mia madre, che sapeva tutto, anzi che attendeva con un certo grado di soddisfazione il mio passo falso ed allora esordiva sempre dicendo "Alessio, i pomodori a colazione no!".

Il blog è nato molti anni fa, ma ancora non lo sapevo.



Alessio